Ancora alcuni brani da “Parlare senza parole, logos e tao” di Francois Jullien pag. 142, che ho pensato di intitolare Tra due litiganti il terzo gode…(senza soffrire)
“Definendo le proprie esigenze in maniera sempre più rigorosa in opposizione all’ambiguità degli antichi mythoi, fino a trovare la propria consacrazione definitiva nel libro Gamma di Aristotele- dove si stabilisce che parlare è dire, dire è significare, significare è significare un unico senso e che significare tale senso esclude per principio la contraddizione ecc.-, il logos, in greco, faceva già emergere il proprio inverso. Infatti questo inverso, sostenuto da ciò che in un qualche modo svolge il ruolo di un nuovo mythos, il Vangelo, trae forza dalla sua stessa contraddizione. Ecco così che l’uno si rivela allo stesso tempo il contrario di sé, che un Dio si proclama allo stesso tempo interamente uomo, ma anche essere morto sepolto che resuscita ecc.: espressioni che in effetti risultano contraddittorie nella misura in cui una qualche supposta identità viene manifestamente rimessa in questione da parte di ciò che potrebbe ricoprire il ruolo di “soggetto” al fine di fornire supporto alla predicazione.Il messaggio religioso scopre dentro di sé una nuova forza, si legittima recuperando quanto il logos filosofico ha escluso e ne fa apertamente una propria prerogativa, da opporre alla filosofia in segno di sfida. Esso non sarà più un residuato di irrazionalità costretto a battere in ritirata sotto il fuoco incontrastato della ragione, bensì si troverà ad essere innalzato al suo stesso livello, al livello di quella ragione conquistatrice e sicura de sé che, tuttavia, indebolita dal proprio gesto di epurazione rischia di essere rovesciata dal messaggio religioso: se il logos (della filosofia) esclude la contraddizione, il “logos” della croce ne fa il centro del proprio mistero e arriva fino a renderlo assoluto; oppure, laddove il logos della filosofia si fregia della propria saggezza, l’altro rivendicherà di essere il suo contrario in virtù della follia, moria,della propria affermazione : “Ma ciò che è folle nel mondo è ciò che Dio ha scelto per suscitare l’imbarazzo dei saggi”. ..Riformulando il messaggio cristiano come l’esatto contrario della saggezza del logos, san Paolo fa emergere vertiginosamente un altro mondo: di fronte alla saggezza di questo mondo si faccia ricorso alla Fede; di fronte ai poteri terreni si proclami la sovranità di Dio; di fronte all’uomo psichico si affermi l’uomo spirituale, che giudica secondo la legge divina..
Tutta la tradizione apologetica, da Tertulliano a Kierkegaard, si è servita dell’inaccettabilità della contraddizione facendone la spinta principale verso la conversione.
…Il sacrificio della ragione appare sfarzoso ed esultante nel suo stesso eccesso: non è forse in questa immolazione della ragione che risiede la forma ultima, quella più raffinata, del sacrificio su cui si fonda la religione? “Il figlio di Dio è morto? Dato che è assurdo bisogna crederci. E’ stato sepolto ed è resuscitato: dato che è impossibile è certamente così.” (Tertulliano, De carne Christi, IV-V)

“Follia “, in riferimento alla parola, assumerà quindi un senso diverso a seconda del contesto. La follia rivendicata in ambito evangelico mira a far emergere quanto di straordinario il messaggio e la sua speranza portano in sé, a rilanciare un diverso ordine di valori e di verità, tale da provocare uno sconvolgimento interiore e da suscitare un’adesione che passi ormai per il “cuore” (per l’amore) e non per la ragione e la sua persuasione logica (questa “mania” propria del logos che lo porta a implodere poiché, a partire da questo momento, non ha più nulla a che vedere con la “mania” che , come entusiasmo e ispirazione divina, la ragione filosofica aveva cominciato a esplorare;cfr. Platone, Fedro, 224). Simile al bastone che immerso nell’acqua appare spezzato, questa follia_ come ambiente umano ancora stordito dai suoi stessi sensi ma che continua a essere materiale- viene rivendicata dai Padri della Chiesa come la modalità attraverso cui raspare necessariamente (ma temporaneamente) la trascendenza divina e la dimensione della salvezza.

“Follia”, secondo il senso preciso che in Cina i moisti hanno assegnato a questa parola (kuang yan)
significa, in una prospettiva critica, “fare riferimento in modo arbitrario” “ignorando le differenze” (Canone Moista, B66)
Si tratta del medesimo senso che ritroviamo, questa volta però in una prospettiva positiva, nello Zhuangzi: Risalendo nell’indifferenziato fino a sfiorare l’insignificanza, la follia taoista si trova ad essere agli antipodi della follia evangelica. Invece di annunciare un messaggio, di proclamare un Senso, essa riassorbe qualsiasi aspettativa di un messaggio e lascia così prosciugare il senso. Invece di valorizzare la contraddizione, quella che il cristo incarna di fronte al discernimento umano e che rappresenta una sfida per la presunzione del logos, essa promuove l’equivalenza; così come, invece di indurre all’esclusione (ovvero a scegliere tra la saggezza del mondo e quella di Dio), essa fa apparire la com-possibilità dei punti di vista. E ancora, invece di esortare alla conversione (volgendosi verso un divino a cui sacrificare questo mondo), essa invita alla libera “evoluzione” (you, la parola chiave di Zhuangzi) assecondando “fino in fondo” l’opportunità di ogni “così”; invece di drammatizzare (salvezza o dannazione: la tragica scommessa), tranquillizza (“rasserena”), svincolando dalle disgiunzioni. In definitiva invece di intensificare il disagio derivante dal senso di abbandono di fronte all’assurdo (provocando quella rottura che fa rinunciare alla razionalità e spinge al salto nella fede), la follia taoista favorisce la distensione con il suo dire “alla pari”, disponibile, che si limita ad ascoltare senza subire la tensione dell’uno o dell’altro- né l’obbligo del riferimento né lo smarrimento che deriva dalla sua mancanza.
La sintesi dell’insegnamento di Zhuangzi, presentata nell’ultimo capitolo del libro, associa il carattere vago del fondo naturale alla divagazione della parola, così come collega il debordamento e la liberazione della parola alla capacità di non lasciarsi rinchiudere nella ristrettezza di un singolo punto di vista. In preda alla trasformazioni, il continuum infinito delle cose è “vuoto e indefinibile”, senza attualizzazione né forma definitiva.
…Invece di lasciarsi incastrare da un senso differenziante, che si rinchiude nel proprio riferimento diventando insistente e progressivamente ingiuntivo, la parola , divagando, si mantiene accogliente nei confronti della più piccola sollecitazione del “così”- per quanto strano, stonato, disorientante esso sia.
Il carattere specifico del “dire in accordo” consiste infatti nel non operare una separazione tra il proprio “in-accordo” e quello che sarebbe l'”in-accordo” delle cose: la sua qualità è di emergere a monte della loro disgiunzione. Ma forse “emergere” dice già troppo: porta con sé qualcosa di troppo pronunciato, di troppo legato alla motivazione del proprio manifestarsi- Zhuangzi preferirà parlare di “travaso”.

“Non posso far altro che tentare di dirtelo divagando, e anche tu ascolta divagando” (wang you, wang ting) (pag.100)
“…tutti gli esseri vanno fino in fondo al loro “così”

[Traduzione di Simonetta Silvestri]